25/08/2015
Sociale, Lettere
Per non perdere mai le buone abitudini e allenare sempre la propria scrittura, reputo essenziale il costante esercizio, l’indispensabile attenzione che troppo spesso entra in conflitto con il tempo: il tiranno che opprime, modifica le priorità, altera i veri valori, l’essenza della comunicazione.
Rispetto le lingue, l’inglese in particolare data la tendenza alla globalizzazione stimolata dalle tecnologie e l’evoluzione delle opportunità di connessione tra le popolazioni tramite internet ma, tutto sommato, l’italiano rimane sempre lo stesso. L’alfabeto non include gli stessi caratteri del cirillico, del tedesco e nemmeno dell’inglese, con cui ci sono poche differenze: J, Y, K, W e X.
Non bastano inglesismi e francesismi, ora è in auge la trasmutazione della lingua scritta: mi fa davvero impressione l’uso della K invece di CH, chi scrive risparmia una lettera, chi legge perde tempo per interpretare un simbolo non codificato.
Brutta eredità del mondo anglosassone dal quale sappiamo copiare solo i vizi e mai le virtù, la ricerca costante dell’abbreviazione, del risparmiare il tempo, fa commettere veri e propri atti impuri verso la nostra lingua e gli amici della K fanno parte di questa cerchia infernale. Sebbene sia di origine latina, la lettera K non c’è nell’alfabeto italiano. La troviamo in molte altre lingue, anche di origine anglosassone.
Ognuno può fare come vuole, in osservanza della massima libertà espressiva individuale, utilizzare il dialetto, ovvero codici personali condivisi da pochi intimi, ma questo esula dal significato, dallo scopo nativo della comunicazione: condividere i nostri pensieri, le nostre esperienze con gli altri, consentendo a ognuno di poter comprendere, senza difficoltà, soggettività o rischio d’errore. La beltà di un codice universale, scritto, comune, univoco, acquisito in tanti anni e mantenuto costantemente vivo, implementabile all’occorrenza, nel rispetto delle regole che l’hanno generato, giustifica la letteratura, gli studi.
Possiamo aggiungere faccine ai nostri messaggi e ci possiamo anche concedere delle battute da linguaggio verbale per essere amichevoli con il nostro pubblico. Mai tralasciare la correttezza formale quando ci troviamo a gestire la comunicazione. La nostra gioia, darà felicità agli altri, se impiegassimo qualche millesimo di secondo in più, scrivendo in modo chiaro e corretto.
Siano dettate dall’impeto e dalla foga, siano volute per accelerare il tempo di digitazione, siano sintomatiche d’ignoranza o d’incapacità d’uso della tastiera, ci sono due occasioni in particolare dove riscontro le espressioni peggiori: gli annunci dei privati e i commenti su Facebook (non un inglesismo bensì un nome proprio, quindi in maiuscolo). Mi domando se in ogni caso gli autori siano incoscienti dei risultati, ovvero vivano felicemente il loro status, senza rispetto verso il prossimo, né nei confronti di se stessi? Cercano di migliorare le loro conoscenze, le capacità, oppure comunicano senza considerare l’importanza del linguaggio?
Le cose assumono criticità insopportabili nel momento in cui il linguaggio errato sia utilizzato sui quotidiani, magari da giornalisti professionisti che conservano una corona d’alloro a testimonianza di lauree conseguite dopo anni di studio. Punteggiatura inventata: alinea (il segno meno) in surroga di virgole o punti e virgole; frasi inizianti con congiunzioni; il verbo “venire” in sostituzione del verbo ”essere” (non vengo rapito dalla lettura, ma sono rapito; non verrò additato da tutti, bensì sarò additato; venivo acclamato, invece di ero acclamato). Credo nessuno disconosca il significato del verbo all’infinito: venire indica moto verso il luogo ove risiede l’interlocutore, anche in senso figurato (verrà brutto tempo), ben diverso da essere che indica uno stato, una realtà.
Possiamo comunicare giacché siamo connessi con il mondo intero, ma abbiamo stabilito la connessione col nostro cervello?